Modena è un fiorire di rotonde ad ogni incrocio. Dove prima sorgevano impianti semaforici snervanti, dalle attese stagionali, e anche un po’ dispendiosi in tutto il loro abbagliante luccicore (soprattutto di notte dopo qualche birra di troppo) adesso basta mancare qualche settimana e a quell’incrocio attraversato migliaia di volte invece della solita coda al semaforo, ti ci ritrovi una rotonda a incasinare il traffico. Perché diciamocelo: all’ora di punta non sarà certo un nastro di asfalto che gira a smaltire più velocemente centinaia di macchine concentrate in un unico ombelico stradale.
Diverso il caso della rotonda costruita dove la via Emilia si incrocia con la Nuova Estense. Qui la rotonda è un progetto a due piani che è costato anni di lavori e l’arricchimento del vocabolario modenese di nuove e colorite espressioni coniate mentre impilati e imprigionati in macchina si procedeva a passo d’uomo in un cantiere a cielo aperto.
Questa rotonda non è sbucata dal nulla, e per mia personale esperienza me ne sono goduta la realizzazione giorno dopo giorno (come nel peggiore dei reality) considerato che era una tappa obbligata per raggiungere l’ufficio in cui lavoravo.
Poi la svolta, un cambio di sede, e quel mostro di viabilità non mi tocca attraversarlo per un paio di anni, fino ad oggi.
I lavori sono ormai completati, e come in tutte le rotonde che si rispettano è comparso anche l’elemento decorativo (argomento che approfondirò in altre occasioni).
Mi scuso per la scarsa qualità della foto, ma non ho potuto fare a meno di rimanere a bocca aperta: un altare in stile romano in piena regola.
E stasera mi sono documentata. Le notizie sono scarse, ma credo di avere “scoperto” da dove sbuca fuori. Non è, come ho creduto sul momento, una copia o un’opera di “modernariato” ispirata all’antica Roma. E’ una vera ara di duemila anni fa, ritrovata nel 2007 durante i lavori di scavo per realizzare il tratto di strada interrato. Dall’iscrizione si evince che il monumento sia stato eretto, quand’era ancora in vita, da una liberta di origine greca, Vetilia Caia Egloge, che lo volle per sé, per il suo patrono Lucio Valerio Costante, decurione di Mutina, e per suo figlio, un liberto che ricopriva la carica di Apollinare e Augustale, una funzione sacerdotale legata alla celebrazione del potere imperiale documentata anche in altri monumenti modenesi.
L’epigrafe è incorniciata da un elegante motivo vegetale ed è coronata da due pulvini decorati; lungo i lati minori dell’ara, spiccano le decorazioni rituali di una patera (piatto) e di un urceus (brocca), simboli delle libagioni in onore dei defunti.[fonte]
Ammetto che la sistemazione non mi sembra idonea, è ritornata dove è stata rinvenuta, ma in questo momento non mi sembra sia molto valorizzata. E credo che la foto non lasci dubbi.